domenica 28 giugno 2020

COSMOPOLITAN. Habitat, città e stili di vita

(English see below)

Chi mi conosce sa che il mio cocktail preferito è il Cosmopolitan. Sembrerà un caso, ma secondo me rispecchia esattamente il significato dell’essere cosmopolita e un po’, anche una parte di me. Una strategica combinazione tra i toni aspri del lime e quelli dolci del mirtillo, che traducono perfettamente quella sensazione di contrasto nell’amare incondizionatamente la propria terra e sentirsi a casa pure in un’altra. Un gioco di equilibri, intriganti, liquide e dinamiche prospettive servite in una coppa dall’indiscutibile eleganza, che con altrettanta raffinatezza e sapienza bisogna saper afferrare; senza far cadere nemmeno una goccia! Sembrerebbe una lezione di bon ton, di danza o di yoga acrobatico! Sì, perché per me uno stile di vita cosmopolita è un modo di vivere eclettico, rivolto al nuovo senza tradire il vecchio, orientato alla versatilità, alla capacità di adattamento, ma valorizzando e diventando espressione innovativa dei flussi millenari di cui siamo composti. Fino ad oggi, anche io posso ritrovare nel mio modo di vivere uno stile di vita cosmopolita. Negli ultimi nove anni ho vissuto e continuo a vivere a cavallo tra diverse città, regioni e Stati, tra Palermo e Torino, e poi anche Madrid, tra la Sicilia, il Piemonte (tra i suoi laghi) e le Asturie, tra l’Italia e la Germania. In ogni luogo in cui vivo, mi piace farmi sedurre dalle attività del luogo, dai modi di vivere diversi da quello mio di origine; mi piace conoscere nuove persone, amici, colleghi che mi regalano una visione rinnovata del mondo e con i quali ho il piacere di condividere il mio percorso, il mio lavoro, le mie passioni ed interessi. In ognuno di questi luoghi mi sento e mi sono sentita a casa. È celebre la frase “sto ritornando a casa!”, e quella casa poteva pure essere un hotel o una stanza di Airbnb. Tuttavia, quel sapore un po’ aspro di cui parlavamo prima giunge sempre ogni volta che pronuncio questa frase, come un tradimento nei confronti della mia vera casa, della mia terra. Io sono di Palermo. Penso che non si possa quantificare il grado di attaccamento di un isolano alla propria isola, se pur quell’isola è la più grande regione d’Italia. Ma forse, proprio perché provengo dalla Sicilia, è insita in me questa natura cosmopolita come quella della città in cui sono nata. Palermo è per eccellenza una città cosmopolita, «una città arcipelago di diversità e creatività», ne parla Maurizio Carta nel suo libro "Futuro". Lo si può osservare nei suoi spazi, nelle sue stratificazioni storiche, passeggiando per le vie del Capo o di Ballarò; sentendo “vuciare” i venditori ambulanti come se fossi in un suq arabo; sentendo l’odore della cucina tipica siciliana in contrasto con quella dei Tamil o degli altri palermitani; attraversando luoghi che sono spazi di storia, dalle mura puniche, alle architetture arabo-normanne, all’opulenza barocca e ottocentesca; respirando ancora oggi quel fermento culturale che Federico II di Svevia ha sapientemente instillato nelle nostre memorie. Ad oggi, da brava erede, vivo in Germania, dove mi piace osservare e confrontare queste dinamiche, i suoi spazi urbani, le similitudini e diversità tra queste culture. Parliamo di questi concetti e di città cosmopolite in un progetto finanziato dal DAAD e sviluppato dalla Leibniz Universität Hannover in collaborazione con l’Università di Palermo, sotto la guida scientifica dei professori Jörg Schröder e Maurizio Carta. Vi invito a vedere il nostro sito e la pagina Instagram, e magari inviateci una cartolina con la vostra idea di città cosmopolita.
Hannover, nella sua dimensione giovane, internazionale e contemporanea è anch’essa una città cosmopolita. Un luogo di cultura, di passaggio di molte persone, flusso costante di menti e di idee, dove associazioni internazionali permettono ai vari visitatori e cittadini di vivere al meglio questa esperienza di vita in città. È luogo di convivialità, non tanto distante da Palermo, dove puoi ascoltare musica in centro o sentire l’odore di carne arrostita tra le sue vie (in questo mi possono solo capire i miei amici palermitani o chi ha sentito l’odore delle “stigliole”). È un luogo di comunità, dove i ragazzi iraniani, greci o turchi mi parlano come se fossi una loro connazionale e chi invece mi conosce solo per il nome, pensa che io sia tedesca, ma con qualche “r” in più!
L’anima cosmopolita si propaga dunque tra le vie delle nostre città, la si può osservare nel sorriso o nello sguardo di una persona a te familiare, nel suono e nei profumi di cultura “esotica”, nei modi di fare, nelle architetture, nelle strade, nel modo di vivere lo spazio urbano e le varie esperienze della vita. E per te cos’è un habitat cosmopolita?

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COSMOPOLITAN
Habitats, cities and lifestyles


My loved ones know that my favourite cocktail is the Cosmopolitan. Such a random thing! ‘Cause I believe it represents exactly what cosmopolitan life means, and even a part of me. A shrewd combination of sour lime and sweet blueberry such as that feeling of conflict in loving your country unconditionally and feeling at home as well in another one. A tricky balancing act, and dynamic, liquid and challenging prospects are served in a stylish glass, which you must be able to grasp with the same elegance and wisdom. Without dropping a drop! It looks like a bon ton, dance or acroyoga class! Yep, a cosmopolitan lifestyle is an eclectic way of life, aimed at the new without betraying the old, oriented towards versatility, adaptability, but enhancing and becoming an innovative expression of the millennial flows of which we are made.
To date, my lifestyle is also cosmopolitan. Over the last nine years, I have been living across many cities, regions and nations. At the turn of Palermo and Turin, and then also Madrid, between Sicily, Piedmont (among its lakes) and the Asturias, between Italy and Germany. In every place where I live, I like to be seduced by the activities of the place, by different ways of living. I like meeting new people, friends, colleagues which renovate my vision of the world and with whom I have the pleasure of sharing my path, my work, my passions and interests.
In each of these places I feel and I felt at home. Even when I’m abroad, I always say “"I'm going home!" and that house could also be an hotel or an Airbnb room. However, that slightly sour taste we were talking about before always comes every time I say so, as a betrayal of my real home, my home country. I am from Palermo. I strongly believe the link between an islander and his/her island is inestimable, even if that island is the largest region in Italy. But perhaps, precisely because I come from Sicily, this cosmopolitan nature is inherent in me as that of the city where I was born.

Palermo is par excellence a cosmopolitan city, «an archipelago city of diversity and creativity», as pointed out by Maurizio Carta in his book "Futuro". You can see it in its spaces, in its historical stratifications, walking through the streets of Capo or Ballarò; feeling the street vendors "vuciare" as if you were in an Arabic Souq (“vuciare” is a Sicilian word that means to shout. In order to pronounce it perfectly you should combine the sound “voush” + “yaare”: “voushyaare”. That’s it!). You can live it smelling the typical Sicilian cuisine combined with that of Tamils ​​or other Palermitans; crossing places that are spaces of history, from the Punic walls, to the Arab-Norman architecture, to the Baroque and nineteenth-century opulence; still breathing that cultural ferment that Frederick II of Swabia has wisely instilled in our memories. To date, as a good heir, I live in Germany, where I like to observe and compare these dynamics, its urban spaces, the similarities and differences between these cultures.
We talk about cosmopolitan cities in a project financed by the DAAD and developed by the Leibniz Universität Hannover with the University of Palermo, under the scientific guidance of professors Jörg Schröder and Maurizio Carta. Have a look at our website and Instagram, and if you fancy send us your "postcard" about your idea of cosmopolitan habitat.

Hanover is a young, international and contemporary city, and so for that, it is a cosmopolitan city as well. It is a place of culture, a crossing point of many people, a flow of minds and ideas, where international associations make the visitors and citizens enjoy this city life experience. It is a place of fun and conviviality, not so far from Palermo, where you can listen to music in the center or smell the meat roasted in its streets (only my friends from Palermo or those who have smelled the "stigliole" can understand me). It is a place of community, where the Iranian, Greek or Turkish guys speak to me as if I were a fellow countrywoman and those who know me only by the name, think that I am German, but with some "r" more!

The cosmopolitan soul therefore spread through the streets of our cities, it can be observed in the smile or gaze of a familiar person, in the sound and scents of "exotic" culture, in the ways of doing, in the architecture, in the streets, in the way of living the urban space and the experiences of your life. So, what is a cosmopolitan habitat for you?



domenica 10 giugno 2018

Il viaggio verso la Biennale di Venezia


Una bella luce estiva risplendeva su Palermo, un vento energizzante ci raffrescava mentre i colori vividi del cielo e della vegetazione sembravano volessero evidenziare i diversi RGB.

Sono le 14.00 del pomeriggio quando la signorina del check-in mi comunica: Lei ha il numero 0. Cosa?? Il numero 0? Mi spieghi meglio, le chiedo.
Un po’ a disagio nel dovermi dare la notizia, ribadisce: sì, lei ha il numero 0, significa che è senza posto. Purtroppo il sistema non mi fa prenotare un posto per lei. Siamo in overbooking.
Non sapevo se essere pietrificata e accettare la situazione così come si presentava o controbattere e ottenere a tutti i costi il mio posto a sedere.
Ma…ma io devo essere assolutamente a Venezia oggi. Com'è possibile?
Signorina, mi dice, con quel tono di voce cortese e fastidioso che si utilizza quando si deve dare una notizia che ha dell’esilarante: purtroppo, è la procedura. La compagnia sceglie in maniera random dei passeggeri a cui non attribuire il posto. E lei è una di questi. Proceda comunque normalmente e si vedrà.
Il mio sguardo alla Sagat di Street Fighter stava per venir fuori. Prendo la carta di imbarco e i miei 13 kg di bagaglio e mi avvio. Con ben due ore e mezzo di anticipo, mai viste nella storia dei miei viaggi, eravamo solo in tre al gate. I miei due compagni di “attesa” erano un signore e una signora sulla sessantina.
¿De dónde sois? Domando, sentendoli parlare in spagnolo.
De Argentina. Siamo qui in viaggio. Siamo venuti in Italia più volte; mio padre era dell’Emilia Romagna, ma non avevamo mai visitato il “sur”, mi risponde il signore, sfoggiando orgogliosamente il suo italiano.
Lui: Tu cosa fai?
Io: Dovrei andare alla Biennale di Architettura di Venezia, se riesco a partire. Sono architetto.
Lui: E cosa farai alla Biennale?
Io: Abbiamo presentato un lavoro su Gibellina, sul teatro di Consagra.
Lui: Ah…wow! Che bello Gibellina! Il Cretto di Burri…

La sua risposta mi ha subito ricordato lo stupore mostrato dal mio professore dell’Etsam di Madrid parlando di “Gibelina” e l’importanza attribuita all’intera valle del Belìce dai paesi esteri.
Sì, il Belìce è ricordato nel mondo, per quel fatidico terremoto del ’68 che ha echeggiato per mesi, per anni, nelle orecchie di tutta l’Europa.

Danilo Dolci, Ludovico Corrao, Lorenzo Barbera e tanti altri hanno lottato per ridare dignità sociale e culturale a questo territorio. Interventi di arte contemporanea dall’orientamento internazionale per un paesaggio marginale del Sud Italia, come rimedio alle utopie radicali che poco hanno considerato la dimensione locale, manifestando nella loro rigidità il disegno di un progetto calato dall’alto.
Un “territorio interno” dalle forti potenzialità, questo ha intravisto Mario Cucinella in Gibellina, decidendo di mostrarne la sua complessità all’interno del “teatro” internazionale del Padiglione Italia. Gibellina, con il suo Cretto di Burri, la Fondazione Orestiadi, il sistema delle piazze di Franco Purini e Laura Thermes, il teatro e la stella di Pietro Consagra, per citare solo alcune delle sue opere, ha affascinato il mondo intero per la sua bellezza.
Un museo di arte contemporanea a cielo aperto, in cui poter ammirare e apprezzare un territorio agricolo e viticolo riconosciuto a livello mondiale.
Una perfetta commistione tra cultura e agricoltura di qualità. Reimmaginare questi spazi, riconnettere strategicamente questo territorio rafforzando le sue qualità, ha suscitato ancora più fascino ed emozione.
La vastità degli spazi agricoli si insinua nella vacuità degli ambienti urbani, pensando di essere in uno di quei paesaggi western in cui gli unici suoni sono il cigolio delle porte dei saloon abbandonati e del tumbleweed che rotola.
I suoi spazi urbani così silenziosi, sovradimensionati, li abbiamo ritrovati anche all’interno del Teatro di Consagra, che si erge maestoso, in tutta la sua interezza, mentre fa da cinta scenica all’asse centrale di Gibellina. È proprio qui che la cittadinanza, grazie ad Arcipelago Italia, è riuscita ad entrare per la prima volta dentro quel che sarebbe dovuto essere un teatro. Vedere gli sguardi lucidi dei ragazzi, che per la prima volta entravano al suo interno, e dei più anziani, è stato un momento di forte intensità.

Il viaggio verso la Biennale è stato un momento molto emozionante, mi ha permesso di confrontarmi con il pensiero di altri giovani architetti e con menti illustri della nostra contemporaneità e di questo ringrazio profondamente il professore Maurizio Carta, per avermi coinvolta in questa entusiasmante esperienza.
Ho avuto l’occasione di condividere questi momenti con Barbara, che è sempre un riferimento stabile per me e con l’intero gruppo di ricerca, con i ragazzi di AM3, i ragazzi di Urban Reports, di Ascolto Attivo e altri architetti che credono e sperano nella riattivazione di Gibellina e delle aree interne della nostra nazione.
Ho vissuto momenti di dibattito attorno ad un tavolo da “caffè” o da lavoro, circondata da fogli, matite, planimetrie, idee, pensieri, coraggio ed entusiasmo.
Momenti di complicità a montare caschetti gialli per la visita al teatro, sorseggiando tè caldo fumante per riscaldarci dal freddo invernale belicino.
Momenti di condivisione con gli altri team del collettivo del Padiglione Italia, all’interno del Centro Arti e Scienze di Bologna, della Fondazione Golinelli.
Momenti di svago e goliardia durante squisite cene a base di cous cous di pesce a Castellammare del Golfo, tortellini in brodo e tagliatelle al ragù a Bologna, e “cicchetti” di baccalà mantecato alla vicentina brindando con uno spritz a Venezia.
Il viaggio verso la Biennale non si può sintetizzare in poche ore di volo, è stato un momento di grande spessore culturale e ricchezza che conserverò per sempre nella mia memoria.

Ed ecco che i miei pensieri ad un tratto sono stati interrotti da una voce insistente che ripete:
Vai! Ti stanno chiamando! Forse ora tocca a te! ¡Mucha suerte con todo!

Mi reco all’imbarco e siamo in tre. Io, un ragazzo e lo steward.
Anche tu con il posto 0? Chiedo al ragazzo accanto a me.
Lui: Sì, ho comprato il biglietto mesi fa. A quanto pare siamo le uniche vittime!

Ridiamo entrambi ed entriamo. Finalmente, si parte!!

venerdì 5 maggio 2017

Unipa e lo spazio Gregotti


Scoprire parti della propria città ancora poco conosciute è sempre una sensazione molto piacevole. Lo stupore di sentirsi in un posto nuovo, di conoscere un’altra realtà, nonostante sia vissuta da anni, lascia sempre una sensazione di incanto alla quale non ero più abituata.

Oggi, mentre stavo lavorando alla stesura di un articolo e la concentrazione vacillava, decido di uscire fuori, godere della splendida giornata di sole e di andare alla ricerca di nuovi stimoli per la scrittura.
Uscendo dalla parte superiore del dipartimento di Architettura di Palermo, si trova una vasca d’acqua con una vecchia ciminiera, un parcheggio universitario, ed un edificio che fa da fondale al cosiddetto Viale delle Scienze. In lontananza, si scorge una struttura lignea che mi incuriosisce. Da anni so che questa parte di Unipa è stata progettata da un importante architetto italiano, Vittorio Gregotti, ma prima d’ora (non dovrei dirlo!) non mi era mai capitato di vederla. Decido, dunque, di avvicinarmi e andare alla scoperta della mia Università.

Cammino…mi trovo dentro ad un tunnel di luci e di colori, a sinistra il rosa pallido dell’edificio che fa da quinta scenica al viale, a destra il grigio chiaro del cemento e il verde vivido delle piante mediterranee, sopra il cielo azzurro con leggere striature bianche, mentre di fronte a me una scalinata grigio scuro mi indica la strada. Mi appresto ai gradini e decido di salire. Esplosione di spazi! L’ascesa alla “montagna” e di lì a poco davanti a me si apre uno spazio multiforme, alternato da costruito, vuoto, elementi in costruzione, paesaggio urbano e naturale. Le tettoie in legno intraviste dal basso si susseguono una dopo l’altra tracciando una linea netta verso un altro spazio rialzato.
Incuriosita e stupita dall’ambiente, passeggio e osservo la gente. Al di sotto delle tettoie si trovano delle buche rettangolari scavate nel pavimento e che fungono da sedute; vedo numerosi ragazzi lì seduti e anche io ne ho desiderio. Per qualche minuto mi fermo, chiudo gli occhi e cerco di assaporare il momento. Non mi sentivo più a Palermo, né in Sicilia. È stata una sensazione particolare, che forse alcuni di voi hanno già provato. È strano trovarsi in un luogo già vissuto, magari in un momento diverso della propria vita, ed iniziare a percepirlo e a conoscerlo con una maturità differente. Mi affascina come l’immagine di un determinato luogo che scolpiamo nella nostra memoria, vuoi per l’esperienza pregressa, per le immagini già viste o per i racconti degli altri, possa cambiare tutto d’un tratto aspetto, una volta conosciuto in profondità. D’altronde, mi è già capitato in passato di immaginare una regione, una città in un determinato modo e di dovermi ricredere, in positivo o in negativo, dopo averla visitata.

Incuriosita dal percorso di scoperta tracciato dal Gregotti, continuo la mia passeggiata e salgo un’altra rampa di scale; il paesaggio è veramente prezioso. Non immaginavo di poter toccare così da vicino le montagne direttamente dall’Università. Il dipartimento di Architettura ha una bellissima vista sulle montagne cittadine, ma non incornicia in questo modo la città.
Il terzo ambiente si trova accanto al dipartimento di chimica, anche questo molto ampio, sembra esser stato disegnato per invogliare i passanti a curiosare qua e là. È impossibile percorrere questi 150 m senza soffermarsi in ognuno dei suoi spazi. Sporgendosi a destra, ad un livello inferiore, si trova un anfiteatro che si affaccia, come il canone greco comanda, su uno scenario naturalistico incorniciato dallo skyline cittadino. Proprio in questo posto si trova uno dei centri di raccolta energetica di Unipa, una leggera presenza di pannelli fotovoltaici consente all’Università di carpire luce solare e magari, chissà, trasformarla in energia per il campus universitario.
Al centro dello spazio una serie di canali e di quadrati di varie dimensioni, scavati nel pavimento, disegnano e progettano il luogo. Agli angoli dei quadrati più grandi si trovano degli alberi, che in questo periodo dell’anno hanno dei fiori rossi molto profumati. Gli studenti ridono e scherzano, c’è chi gioca a pallavolo, chi mangia un panino all’ombra della vegetazione, chi chiacchiera o studia con i propri colleghi. È una piacevole atmosfera, dal linguaggio internazionale, quasi da rivista. Un ambiente parallelo, dove ritemprarsi e vivere l’Università con un approccio disteso e rilassato.
Spostandosi poco a sinistra e attraversando i confini tracciati dagli edifici universitari, si trova un’altra piccola oasi; anche in questo caso vi è la presenza di gradoni in cui potersi sedere e di una moltitudine di vegetazione ordinatamente progettata e da poter ammirare. L’ultimo livello riserva un colpo di scena. Avete mai immaginato di poter letteralmente rinfrescare le vostre menti all’Università? Di poter udire, accanto all’uscita del vostro ufficio o del dipartimento in cui lavorate, il piacevole suono dell’acqua che scorre? Di poter bagnare i polsi dopo una lunga giornata afosa?
I nostri cugini della Bicocca di Milano a questa provocazione risponderebbero: We, l’è bela lei, guarda che il nostro campus universitario ha fontane e specchi d’acqua da fare invidia, neh! Beh, Unipa offre di più, chi non vorrebbe una bella piscina azzurra come il mare cristallino all’interno del proprio ambiente lavorativo o di studio, con sedute aggettanti che permettono a chi vi si siede di arrivare a toccare con mano l’acqua e rilassarsi all’ombra dei muretti, osservando leste rondini nere prender l’acqua e volare via.

Sono trascorsi solo pochi minuti da quando ho iniziato questa passeggiata alla scoperta della mia Università, sono stati dei momenti accompagnati da un continuo susseguirsi di emozioni, di scoperte e di eterogeneità di spazi. Sembra quasi che Gregotti abbia progettato questo luogo per stimolare lo studente alla scoperta, un vero e proprio connubio di creatività, scienza e relax.